Il Cittadino 1901 2. parte

Ore 9.50
Non avrei mai creduto di trovare tanta difficoltà nell'interpretare un brano di omelia greca. Per ora mi è forza desistere; vi tornerò sopra quando sarà ritornata in questo luogo la calma. I professori, non so di quale istituto, adesso fanno scuola e nel loro insegnamento infondono tutto l'ardore, tutto l'impeto, tutto il vigore della razza italiana, che è vulcanica, impetuosa in tutto. La loro voce si diffonde, si allarga nel cortile, per lo spazio, sonora, vibrata; noi tedeschi, così calmi, diremmo che urlano. Ma che urlano? Parlano; parlano con grande convinzione: non altro. Le nostre buone scuole di Germania sono troppo silenziose, troppo serie; i nostri scolari troppo compassati e freddi: qui invece c'è vita, c'è baldanza: gli scolari parlano, quasi direi, più forte dei maestri. Ma per insegnare a questo modo bisogna aver saldi polmoni, ottima salute, mangiar bene e ber meglio. Si capisce che il governo italiano paga profusamente i propri maestri; e quando una nazione spende molto nell'istruire, essa nazione è destinata sicuramente a grandi cose. L'anno scorso appunto sosteneva con l'amico Fritz questa mia tesi, e per convincerlo, ci spesi molte parole e molti bicchieri di birra.

 

Ore 10,30
Mi era messo attorno al brano dell'omelia per disbrogliarlo, ma inutilmente ancora: quel po' di quiete che si era formata è di nuovo dispersa. Nel cortile è venuta una squadra di giovani a far la ginnastica. Ora si esercitano nel tiro dell'asta e non con molto successo: se è stabilito che ciascuno di essi, almeno per una volta, colpisca il bersaglio, sto fresco davvero: rimarranno qui sino a stasera. Ma spero che il regolamento non sia così tirannico.

 

Ore 11,40
O bellissima figura di Madonna: e come è finamente miniata! Sul fondo d'oro si stacca il volto composto in un'umile adorazione di amore; le mani si piegano, congiunte nella preghiera, copra il manto azzurro. Non so, ma parmi, che essa così gentile, abbia qualche somiglianza di lineamenti con la mia Käthchen. E che farà ora la mia diletta? Forse raccoglierà nel giardino lindo e pulito i fiori che adornano la mensa; e per l'aria tenue di maggio manderà a me il saluto oltre la grande Germania, sopra le Alpi, finqui, in questa piccola città di Italia. E' veramente strano e meraviglioso come da questi gelidi libri del passato la mia anima balzi dove il sole è più limpido, nella luminosa idealità del sogno, quasi corresse alla fresca sorgente della vita. Ma vediamo di spiegar questo greco... Ma buon Dio, che cosa succede di nuovo? Perchè schiamazza così rabbiosamente, laggiù, quella gallina? Non è già per l'allegrezza di aver fatto l'uovo; ma perchè è inseguita, forse presa.

E adesso è tutto un coro di anime di galline disperate, che imprecano. E' un pollaio in rivoluzione; peggio, in anarchia: che le vogliono, tutte, ammazzare? Ma io sono socio di una società protettrice degli animali, che nell'art. 15 del suo regolamento mi comanda di protestare: ma con chi, contro chi? Col bibliotecario? ma se debbono servirgli per il pranzo, mi riderà in faccia. Via: questi dubbi mi hanno sconvolto il sangue: andrò a mangiare e terminerò dopo il mio lavoro, quando, come spero, nel cortile tutto sarà tranquillo.

 

Ore 4,25
Ho girato un poco per la città, e mi è parsa, se non bella, decente. Le vie non molto larghe e con portici sono, per la più parte, antiche: poche le nuove. La gente non è certo molto frequente: i più si radunano presso un portico, in un largo di strada, sotto un papa di bronzo che li benedice. Sembra che sia costume di ricevere quella benedizione, da quel papa di bronzo, sul mezzogiorno. Le persone sono cortesi; specialmente, cosa curiosa, i più poveri: uno di essi mi ha seguito per un lungo tratto di via, parlando in fretta e animato: certo mi dava schiarimenti sulla città e sugli abitanti che io accoglieva con grazie infinite: da ultimo mi stese la mano ed io gliela ho stretta: egli partì borbottando. Ho trovato insomma nelle strade quella tranquillità che non ho potuto trovare in questo cortile. Per ciò molto mi piacerebbe l'abitarvi: potrei comprare una casetta sulla via che mena alla stazione, anzi una appunto ne vidi nel venire molto graziosa nella sua tinta recente; vi condurrei la mia sposa, vi educherei i miei figli; che crescerebbero forti nella limpidezza di questa aria, che correrebbero come caprioli su queste colline sotto il cielo infinito, in faccia all'infinito mare.
Ma vediamo, se adesso posso interpretare la mia omelia... Gran Dio, ho forse addosso la iettatura? Che cosa succede nel cortile? Ma perchè strilla così acutamente quel bambino? Quegli strilli mi forano il cervello come aghi. Ma che non abbia madre; o che abbia fame? Ma perchè, allora, non gli danno subito la pappa e quasi si compiacciono di farlo gridare? E non basta: il cortile è invaso da una turba trionfante di fanciulli che ridono, schiamazzano, saltano, si inseguono in una ridda clamorosa e irrefrenabile. Ma che codesto fabbricato, non molto bello in vero, sia un asilo per l'infanzia abbandonata? A me i bambini piacciono molto; e molto volentieri li guardo, perchè in essi la vita ha la purezza e la freschezza delle cose nuove; ma ora li manderei con tanto desiderio, via, quei demonietti, che non sanno e non suppongono, no certamente, che io qui sono alle prese con un tremendo polemista. E questo santo dottore, questo venerabile Gregorio poteva facilmente imaginare che i posteri non sempre avrebbero potuto leggere le sue opere nel silenzio di una biblioteca quattrocentista o di un monastero medioevale; e perciò comporle più agevoli all'intelligenza.

 

Ore 5,50
Dopo i bambini, i padri e le madri: e certo non ci guadagno nel cambio. Quanta gente: ce n'è nel cortile: ne sta seduta sulle porte: si affacciano alle finestre del primo, del secondo piano: e parlano forte, giocondamente, di cose che li fanno schiattare nel riso. Insomma in questa città tutti sono felici; e il più infelice son io che non ho ancora potuto decifrare questo pezzo arrabbiato di greco. Conviene che lo trascriva e me lo porti meco, nella mia silenziosa cameretta di Germania, come ricordo, e infin dei conti non ingrato, di un giorno passato a Cesena. E agli amici dirò che se ho studiato male, ho mangiato, per altro, peggio.