Il Cittadino 1901. 1. parte

Ore 9,15
Ho veduto la biblioteca malatestiana, e ne ritorno con un sentimento religioso nel cuore. Che architettura semplice e perfetta! E' divisa in tre navate dalle colonne sottili ed eleganti di amrmo greco; dai vetri rotondi delle finestre acute penetra una calma solenne e una luce grave come in una chiesa. I grandi plutei pareva che favellassero minacciosi contro di noi che eravam venuti, importuni, a disturbare il silenzio che li avvolge. Quando il bibliotecario si avvicinò ad uno di essi per prendere il codice da me domandato e la sua mano, appoggiandosi sulla tavola superiore, segnò un solco nella polvere che la copriva, mi parve che quel solco fosse come una ferita, e che il dirugginio della catena fosse un singulto. Perchè ardivo io di strappare dal riposo profondo, dalla penombra dolce quel codice per gettarlo nella piena luce del sole, per strapazzarlo con le mani inquiete? Spinto dalla curiosità subito l'ho aperto, là dentro, e l'occhio mi è caduto su una deliziosa immagine di vergine che mi guardò penosamente, con un lungo sguardo di compassione, come se la trascinassi all'infamia. Mai, come allora, la mia opera mi parve inutile e colpevole. Ma nel rivolgere l'occhio all'intorno il mio spirito si è rinfrancato, e nell'armonia purissima del tutto ha trovato godimento. O come deve il volto del Malatesta ridere di compiacenza, come gli elefanti degli stemmi debbono barrire di orgoglio, quando, nella notte, tutti quei codici si destano e parlano fra di loro!... Ma via; andiamo: da capo son caduto nelle mie fantasticherie; ed il lavoro mi aspetta: tanto più che i codici dormiranno così saporitamente come dormiva, poco fa, nel corridoio un uomo con la pipa in bocca.