La biblioteca e l’orizzonte

Giordano Conti
La Biblioteca Malatestiana di Cesena e l’orizzonte culturale albertiano
“Romagna arte e storia”, 3 (1983), n. 8, pp. 13-34

 

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3. Ma passiamo, sulla base di un nuovo, rigoroso rilievo, all’analisi dettagliata dell’aula malatestiana e dei suoi principali elementi decorativi: un attento studio del “metodo progettuale” adottato rappresenta infatti, come ha ben dimostrato il Battisti, la condizione imprescindibile per qualsiasi indagine architettonica ma in particolare per la decodificazione di quelle opere che, nel Rinascimento, sono state al centro di un rinnovato processo ideativo di carattere rigorosamente proporzionale e con precise implicazioni simboliche.
Già il Petrini in un suo recente studio sulla tomba di Pandolfo III Malatesta a Fano, fa, seppur di sfuggita, esplicito riferimento al tracciato geometrico modulare albertiano presente nel portale di accesso alla biblioteca: “Anche nel proporzionamento della porta della Biblioteca Malatestiana di Cesena, che il Venturi giudica negativamente, si riscontra l’uso della maglia quadra che dimensiona la luce, l’altezza della trabeazione, quella del timpano, e delle relative modanature, secondo rapporti aritmetici, analogamente alla tomba di Pandolfo. Un altro reticolo strutturale a maglia quadra si riscontra pure nella scultura decorativa sovrapposta successivamente alla porta della Biblioteca”. La porta misura, infatti metri 1,550 per 2,335, per cui la larghezza e l’altezza stanno nel rapporto di due a tre; il riquadro superiore è invece strutturato secondo una griglia quadrata di moduli dodici per dodici e non si rapporta in alcun modo con la porta, confermando quando già, a questo proposito, aveva sostenuto il Domeniconi: “non è escluso che esso vi sia stato apposto più tardi, in epoca postmalatestiana, e sia proveniente da qualche altro monumento cittadino fatto costruire da Malatesta Novello e poi demolito”.
I riscontri si fanno più espliciti qualora si passi alla lettera dell’organismo architettonico vero e proprio; cioè a dire, alla sala della biblioteca.
In senso trasversale essa si compone di tre navate; in senso longitudinale il numero delle campate è di undici; però, come narra il Masini, sembra che il fabbricato sia stato interrotto quando ancora mancava una campata per l’imprevisto affondamento di una nave proveniente dall’Oriente che trasportava i manoscritti che dovevano trovarvi posto. Questo fatto, confermato da uno scavo che ha portato alla luce le fondazioni di un’intera campata, ci fa ritenere che il numero delle campate previsto in progetto ammontasse a dodici. E allora, il ricorso ai numeri tre (navate) e dodici (campate longitudinali), potrebbe rinviare simbolicamente alle tre persone della SS. Trinità e al numero degli Apostoli. Se si vuole rimanere, invece, alle semplici considerazioni aritmetiche basterà ricordare quanto afferma, a proposito del rapporto quadruplo, l’Alberti: “posto il tre, raddoppiandolo s’ottiene sei; aggiungendo a questo la sua metà, si ha nove; aggiungendo a quest’ultimo la sua terza parte, si ricava dodici, che rapportato al numero di partenza, tre, è appunto il quadruplo”.
Se si prende in esame, in particolare, la pianta, si potrà notare che essa può essere inserita in una griglia formata da quadrati, intervallati in senso trasversale dagli allineamenti delle colonne; inoltre, si può rilevare una esatta corrispondenza fra gli sguinci delle finestrine laterali con le diagonali dei quadrati che contengono ogni campata dell’edificio. Anche le sezioni, trasversale e longitudinale, possono essere racchiuse, come la pianta, in un preciso reticolo che partendo dal primitivo livello del fabbricato arriva fino alla sommità della capriata. Nello schema proporzionale che ne risulta vi è un continuo ricorso ai rapporti tre a due e uno a due fra larghezza ed altezza delle varie parti strutturali; ed infatti, come annota il Wittkower: “Le proporzioni che l’Alberti raccomanda sono i semplici rapporti di uno a uno, uno a due, uno a tre, due a tre, tre a quattro, ecc., che stanno alla base dell’armonia musicale, e che l’Alberti stesso aveva ritrovato negli edifici classici”.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per il sistema strutturale: le colonne in marmo di sostegno alla volta centrale a botte e alla volte laterali a crociera sono alte nove volte il diametro del fusto misurato alla base; le semicolonne in mattoni che sostengono le volte delle due navate laterali sporgono dal muro esattamente per metà del loro diametro ed hanno un’altezza che risulta grande otto volte il diametro del fusto misurato sempre alla base. Anche qui, i rapporti utilizzati sono quelli indicati come canonici dall’Alberti: “alla colonna corinzia fu assegnata una lunghezza pari a nove volte il diametro dell’imoscapo; per l’ordine ionico la misura fu invece di otto volte”. Sono individuate, inoltre, altre relazioni di carattere proporzionale: le colonne centrali, compresa la base e il capitello, sono in rapporto di dodici a uno rispetto al diametro del fusto misurato alla sommità; le semicolonne laterali, sempre comprensive di base e capitello, stanno invece nel rapporto di dieci a uno rispetto al diametro del fusto preso alla base. Ulteriori particolarità importanti: il cerchio in cui sono inscritte entrambe le basi dei due tipi di colonne sta nel rapporto di tre a due col fusto delle medesime; i capitelli possono essere racchiusi in uno schema geometrico basato sulla irradiazione concentrica dei circoli.
Queste notazioni, seppur rapide, danno certamente della biblioteca un’immagine nuova: di edificio progettato in ogni sua parte ed articolato secondo quelle teorie proporzionali che l’Alberti aveva così chiaramente espresso nel suo trattato: “Chi costruisce in modo da esser lodato per l’opera sua ‘ e chi non vuol ciò, è senza cervello ‘ deve basarsi su criteri esatti e costanti; e il creare qualcosa con siffatti criteri è proprio dell’arte”. “‘ definiremo la bellezza come l’armonia fra tutte le membra, nell’unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio”.
In questo contesto di precise intenzionalità progettuali sembra da scartare, a mio parere, l’ipotesi di una supina interpretazione a Cesena del modello offerto da Michelozzo in San Marco. Se non altro perché una delle caratteristiche precipue della biblioteca fiorentina, la volta a botte centrale, è una conquista successiva alla Malatestiana: come afferma il Gori-Montanelli, la volta a botte fu costruita soltanto nel 1457, dopo che un terremoto aveva distrutto nel 1451 l’edificio terminato nel 1444: “quindi originariamente la biblioteca presentava una soluzione tettonica simile a quella dei corridoi dei dormitori, con le travi e i correnti del tetto visibili, oppure con un soffitto piano simile a quello corrispondente al vestibolo della biblioteca nel corridoio”.
E’ a Cesena, dunque, che attorno al 1450, con l’innesto della volta a botte centrale, si configura definitivamente in tutte le sue parti quel tipo di biblioteca monastico-rinascimentale che, già diffuso in Italia fin da secolo precedente secondo il modello a pianta rettangolare ad unica navata, aveva trovato una sua prima, seppur acerba interpretazione innovativa nel 1444 a San Marco con il conseguimento della forma basilicale a tre navate spartite da due file di colonne.
Il tema dell’edificio coperto a volta, non dimentichiamolo, è particolarmente caro all’Alberti: “Per raggiungere la maestà delle forme e la lunga durata, a mio parere la copertura del tempio dev’essere a volta”. Ed è proprio il complesso sistema di volte che caratterizza la biblioteca fiorentina nella sua versione definitiva del 1456 ad attirare, per il suo alto grado di novità, l’interesse di un contemporaneo, il Filerete: “Della libreria non dico la grandezza e la bellezza d’essa, la quale è in volta; dalle colonne essa volta è retta”.
L’analisi della biblioteca cesenate non può dirsi, però, completa se non si mette in luce, accanto al rigore stereometrico delle piante e degli alzati e al significato innovativo di alcune scelte costruttive, di chiaro stampo albertiano, la sostanziale adesione nel trattamento decorativo degli interni e degli esterni alla corposa concretezza e allo spiccato senso cromatico della tradizione medioevale “padana”.
I riferimenti sono, anche sotto questo aspetto, numerosi e ben definiti: innanzitutto, l’utilizzo abbondante del cotto, che caratterizza col suo colore rosso-bruno la cortina muraria esterna e persino le mezze colonne addossate al muro nell’aula interna; la lunga serie di finestrine, due per campata, con contorni marmorei archiacuti; il cornicione in terra cotta, forse policromata, di lieve aggetto ma dall’elegante traforo a mensoline e semicerchi polilobati; le venti colonne, in pietra locale, con basi attiche solo occasionalmente corredate da foglie protezionali e con capitelli diversi l’uno dall’altro alternativamente decorati da corone, ovali, volute e fogliami a cui si aggiungono, spesso, i vari emblemi araldici dei Malatesti; infine, il suggestivo intonaco interno la cui tinta verdognola ben si adatta alla riposante atmosfera di un luogo di studio e di meditazione. A questo si aggiunga la decisione, dovuta evidentemente a una lunga consuetudine edilizia, di costruire la biblioteca al primo piano con una copertura a volte sotto l’alto tetto a capriate, per difenderla rispettivamente dai pericoli di alluvione e dai rischi di incendio a causa dei fulmini.
La persistenza, in un quadro di rapporti geometrici e proporzionali estremamente definito, di una così vasta gamma di elementi desunti dalla tradizione costruttiva locale si deve, con tutta probabilità, proprio al lavoro svolto in cantiere da Matteo Nuti a cui il Malatesta dovette affidare il difficile compito di inserire l’intellettualistico messaggio dell’Alberti nel quadro di Cesena del suo tempo. “Inserimento ‘ come afferma il Borsi a proposito della facciata di S. Maria Novella ‘ che l’Alberti non doveva perseguire oltre un certo limite e che non poteva certamente condurre proprio, stante la sua posizione di funzionario distaccato dal cantiere, ma che doveva considerare, forse favorevolmente, o comunque lasciar fare, in quel clima di omaggio alla tradizione locale e di compromesso che già si delineava come la caratteristica del mondo artistico fiorentino, dopo la prima stagione creativa della generazione brunelleschiana”.
E questo, anche, è il tema che si svilupperà, a iniziare proprio dalla biblioteca cesenate, nelle piccole signorie di Romagna, con risultati non ancora sufficientemente messi in luce ma tutti nel segno di quel processo di “regionalizzazione” dell’apparato classico rinascimentale che costituisce senza dubbio il motivo di maggior rilievo culturale nella seconda metà del Quattrocento.

 

Testo completo con note bibliografiche a questo link: http://catalogoaperto.malatestiana.it/i-testi/ alla voce “Testi” – “La struttura edilizia e la storia architettonica”